06/12/12

Per favore silenzio...


dal sito Asperger.it


Lunedì scorso, qualcuno non se n’è accorto, era la Giornata mondiale della disabilità. Riporto qui l’articolo del Presidente della Consulta Disabili della Spezia Mauro Bornia, in merito.

“Premetto che non dovrei scrivere così. E’ politicamente disdicevole se non addirittura scorretto. Ma quest’anno non me la sento di riscrivere le solite frasi. Sarà l’età che avanza, ma sobbalzo scoprendo che lunedì sarà il 3 dicembre, giornata internazionale delle persone con disabilità. Non me ne vogliano tutti coloro – e sono tanti – che hanno promosso convegni, premiazioni, eventi, magari anche qualche festa, per celebrare come si deve la ricorrenza. Non me ne vogliano le grandi associazioni nazionali che non possono sottrarsi al rito e magari utilizzeranno al meglio le cerimonie ufficiali per esternare, ribadire, sottolineare, ricordare, ammonire…
Ma io vorrei tanto che il 3 Dicembre fosse una giornata dedicata al silenzio, silenzio e ascolto. Che nessuno parli, ma che tutti ascoltino, o guardino, o tocchino con mano. Non c’è quasi niente da celebrare, stiamo vivendo la più estenuante crisi finanziaria degli ultimi decenni. Sappiamo perfettamente che il mondo occidentale, ma anche quello orientale, non ha nessuna intenzione di cambiare modello di sviluppo e si spera di salvare il salvabile, per poi ricominciare come prima. La condizione delle persone disabili è a rischio, ovunque. Non c’è traguardo conquistato che non sia esposto al pericolo di un brusco arretramento, dai farmaci ridotti al pagamento, alle prestazioni sanitarie, agli ausili compartecipati e alla compartecipazione delle famiglie alle rette residenziali, alle solite barriere architettoniche e a quelle altrettanto solite discriminazioni scolastiche e lavorative, ecc.ecc. ecc
Siamo tutti lì, col fiato sospeso, in attesa di capire che cosa farà il governo Monti. Cerchiamo di leggere fra le righe, frughiamo le dichiarazioni dei ministri tecnici con le lacrime agli occhi e perfino dei sottosegretari, quelli sì veri, mica come i falsi invalidi….e ci commuoviamo persino, ascoltando il ministro alla Salute, Renato Balduzzi, intenzionato, a suo dire, a ripescare addirittura l’obiettivo dei Lea. Insomma siamo in trincea, in difesa, elmetto in testa facciamo catenaccio, roba da far impallidire persino il mitico allenatore Nereo Rocco.
Ma più di ogni altra cosa in questi giorni temo i servizi televisivi di maniera, le interviste strappacuore, il caso pietoso, o quello eroico, la famiglia modello, la famiglia in crisi, le belle parole di circostanza. Sono stanco, anche se non dovrei, anche se io stesso, nel contesto di un impegno pubblico, non mi tiro indietro e continuo a battere sui principi della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, sui progetti, sui sogni.
Quest’anno, facciamo qualcosa di diverso, invece del classico minuto di silenzio, proporrei una giornata di silenzio, proprio il 3 dicembre. Nessuno parli della disabilità e poi, magari, nei successivi 364 giorni se ne parli quotidianamente, senza pregiudizi o false promesse e si agisca, con i fatti, con le delibere, con le leggi, con gli stanziamenti, con le buone prassi, con i diritti.
Altrimenti il 3 dicembre rischia di diventare un’altra Giornata della Memoria, come tante. Com’era bello il tempo delle leggi positive e di riforma. Com’era bello il tempo della legge sull’inclusione scolastica, della legge sull’occupazione, della legge sulla non discriminazione. Eppure verrà il giorno, ne sono sicuro, in cui ripartiremo, di slancio e riempiremo di fatti le parole, e di speranza i nostri cuori.
Ma quest’anno, il 3 Dicembre, per favore, silenzio.”

Più o meno condivido. Personalmente non ho mai amato le giornate dedicate a qualunque argomento. Sembrano passare il messaggio: “oggi ricordiamo, arrivederci all’anno prossimo”. Talvolta le espressioni di orgoglio e di soddisfazione stampato sulla fronte di molti profani che vi partecipano mi hanno sempre dato l’impressione di dirmi:“oggi ho fatto la mia buona azione, tra l’altro siamo quasi sotto Natale e siamo tutti più buoni: mi dedico alla disabilità e per un anno sono a posto”.
La settimana scorsa ho tenuto come relatore sulla sordità una lezione ad un corso di formazione mirato al turismo accessibile: non ne ho speso neanche una parola. Dopo aver presentato la sordità, ho iniziato a parlare di “accessibilità a richiesta”. Proprio così, avete letto bene. Se guardate il vocabolario troverete la definizione di accessibilità più o meno in questi termini: “essere fruibile da qualunque tipo di persona”. In una società perfetta, l’accessibilità dovrebbe quindi essere alla base delle azioni di ogni individuo, anche solo per il semplice rispetto dell’altro, a prescindere. Dal momento in cui si eroga un servizio,non dovrebbe essere difficile pensare a chi debba essere rivolto tale servizio e renderlo accessibile a tutte le possibili utenze. Stessa cosa quando parliamo di un immobile. Invece no. Si eroga un servizio e va tutto bene fino a quando qualcuno alza il ditino e non dice: “scusate ma non vi posso accedere!”. Quindi si richiede l’accessibilità. Farlo prima in fase di progettazione, no? Ho parlato solo di accessibilità per far capire che tutti noi abbiamo bisogno di una società accessibile 365 giorni su 365, senza dover alzare il ditino ogni volta. Dobbiamo uscire dagli schemi a cui siamo e ci hanno abituati e compiere quotidianamente un azione e un gesto che intervenga sulle basi culturali della società. Si deve intervenire sempre più dal basso: sensibilizzare la gente comune a cambiare atteggiamento e a cogliere diversi punti di vista.
Ormai sono stanco di ripetere ma qualcuno lo deve pur fare: siamo solo noi che creiamo situazioni di disagio e di diversità perché non siamo abituati a pensare in modo aperto. Teniamo un comportamento dettato da regole, leggi, usi e costumi consolidatisi nel tempo da un manipolo di persone: la società ha insegnato a distinguerci ed a confrontarci facendo esplodere così le contraddizioni dettate dalla diversità (sociale, economica, di classe, di genere, fisica, sensoriale, ecc ). In questa gara quotidiana si creano contrapposizioni, più o meno implicite, tra chi ha e chi non ha, tra chi può e chi non può, tra chi ha diritto e chi no. Fin tanto che si parla di numeri, di colori, di status, di costi e di fattori, ci saranno sempre situazioni in cui qualcuno alzerà il ditino (sempre che abbia la forza di farlo) ed evidenzierà il “problema”. Dobbiamo abituarci ad incentrare il nostro vivere sociale sul “Noi” più ampio possibile ed educare la società sull’accoglienza dell’altro, sull’accettazione e su una visione empatica ed il più possibile aperta il più possibile.
Quando il Segretario Generale delle Nazioni Unite indica nel suo messaggio che la loro sfida “è quella di fornire a tutte le persone l’uguaglianza d’accesso ai servizi di cui hanno bisogno e che si meritano” non mi sento né soddisfatto né tranquillo, non per un mio pessimismo cronico (“tanto non succederà nulla”) ma perché sembra dirmi chela sfida sia individuare il “problema” e tamponarlo. Invece il “problema” c’è sempre stato: non è esploso solo quest’anno grazie alle Paraolimpiadi e non si è mai nascosto. E’ sempre stato sotto gli occhi di tutti ma per qualche motivo non si ha mai la briga di prendere in mano la situazione ed intervenire definitivamente. Il primo pensiero volto alla soluzione del “problema” va al costo: “eh, ma costa tanto? E per quante persone?”. Così non va…
Quando poi sento accostare la disabilità alle Paraolimpiadi di quest’anno e mi sento dire: “che belli che erano, che emozioni che mi hanno dato”, trattengo a stento moti di stizza.

Altro che Giornata Mondiale….

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